Stimo molto il mio amico Manzù – scrive Lucio Fontana in una lettera del 29 dicembre 1949 – e non ci sarebbe alcun male data la qualità dell’artista, però credo che i miei amici abbiano equivocato, per lo meno in Italia, nessun critico e nessun quotidiano ha fatto alcun paragone tra la mia arte e quella di Manzù”. Il cuore della mostra, stabilire cioè una serie di dialoghi fra Manzù e Fontana, potrebbe in fondo partire da questa missiva, indirizzata al collega scultore Pablo Edelstein. Allora come adesso – all’indomani cioè del Giubileo della Misericordia – è importante capire perché si sia scelto di far correre questo incontro proprio lungo i binari della spiritualità. Gli anni della seconda guerra mondiale avevano visto i due maestri su sponde molto lontane, geograficamente e artisticamente. Pure, negli anni immediatamente successivi al conflitto essi si ritrovarono appunto uniti nel confronto con il sacro, Manzù al lavoro per il Vaticano, Fontana per la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Ambedue, pur verificando l’impossibilità di forzare le ragioni liturgiche della committenza, ebbero l’occasione di misurarsi con iconografie tradizionali. L’esposizione documenta il comune desiderio di rinnovare tali iconografie in senso contemporaneo, come anche il fertile rapporto che in tal modo venne a crearsi con i rispettivi percorsi linguistici. La mostra in parallelo offre il destro per un nuovo e diverso dialogo, stavolta sul piano della museologia. Il Polo Museale del Lazio unisce difatti per la prima volta Castel Sant’Angelo a Roma e il Museo Manzù di Ardea. Due realtà profondamente diverse per origini, luogo e dimensioni, che nella circostanza collaborano nel segno di un progetto di alto profilo scientifico e di un’idea di tutela e valorizzazione realmente integrate, senza gerarchie o sudditanze a priori.
ROMA / MUSEO NAZIONALE DI CASTEL SANT’ANGELOARDEA / MUSEO GIACOMO MANZÙ8 DICEMBRE 2016 / 5 MARZO 2017