L’arte sublime di Antonio Canova e la “villa più bella del mondo”, come egli stesso amava definire la Galleria Borghese, per una monografica ambientata nel luogo tanto caro allo scultore nel 250° anniversario della sua nascita e nel bicentenario della Paolina Borghese Bonaparte come Venere Vincitrice.
L’importanza del luogo per lo scultore emerge con evidenza fin dall’autunno del 1779, quando lo splendore dei marmi antichi, dal “gladiatore sorprendente” all’Ermafrodito, lascerà un’impressione indelebile nella sua memoria: “un Paradiso” come lui stesso annoterà nei Quaderni di viaggio.
Lo studio appassionato dell’antico, rappresentato nella collezione Borghese dai marmi che allora non avevano ancora preso la via di Parigi e la cui perdita Canova avrebbe definito nel 1810, davanti allo stesso Napoleone, come “una incancellabile vergogna” per la famiglia che possedeva “la villa più bella del mondo”, è certamente una delle tematiche della mostra.
Ma accanto ai modelli dell’antichità Canova guardava all’opera dei contemporanei. E proprio uno degli artisti più rappresentativi a Roma del clima internazionale di quegli anni, il pittore e “antiquario” Gavin Hamilton, partecipava al rinnovamento della Villa realizzandovi la Stanza di Elena e Paride, una delle sale più emblematiche del nuovo classicismo, luogo ideale per accogliere, qualche decennio più tardi, la Venere Vincitrice. Legato da sincera amicizia con il giovane scultore, ne avrebbe guidato la formazione sostenendolo e consigliandolo nelle prime commissioni romane.
Con le opere di Bernini presenti nella Galleria la mostra offre un’opportunità di confronto irripetibile: tanto più avvincente quanto più proposto in senso negativo dalla critica contemporanea di Canova, nel generale rifiuto del gusto barocco proprio della cultura di quegli anni. Ma il parallelo si impone con forza, scoprendo sorprendenti tangenze nella costante e audace ricerca tecnica, nel continuo confronto con l’antico, spesso studiato dai due scultori sui medesimi modelli borghesiani, e, soprattutto, nell’importanza attribuita da Canova e Bernini all’ultima fase del processo esecutivo: quella della lavorazione delle superfici.
E infine il tema del ritratto divinizzato, Paolina Bonaparte come Venere Vincitrice, commissionata da Camillo Borghese e creata con l’intento da parte di Canova di sfidare la pittura su un motivo che a quest’arte apparteneva e di cui la pinacoteca offre esempi magistrali tra i quali, insuperabile, quello della Danae di Correggio.
Alla Venere Vincitrice, opera emblematica della Villa e fulcro tematico della mostra, vengono accostati altri capolavori legati al motivo della bellezza vincitrice e civilizzatrice: le Grazie, le “Veneri”, le “figure giacenti”, gli “Amorini”.
I bozzetti, gli oli su tela e i disegni accompagnano il percorso straordinario all’interno del processo creativo di Canova, dall’idea all’ultima mano, dove la pietra diventava, come nella Venere, “vera carne”.